Introduzione
13.05.1796
«Forza, Miriam,
ancora una spinta!», la incitò l’ostetrica. Rivoli di sudore le colavano lungo
la fronte.
Un urlo
straziante riecheggiò nella stanza.
«Ecco, brava, ci
siamo quasi...».
Miriam fece un
profondo respiro. Era come se qualcuno le squarciasse il ventre.
Un’altra
terribile fitta le percosse la pancia.
Urlò, aggrappandosi
alle lenzuola del letto. Piangeva, ma la forza che aveva nel corpo era
indescrivibile: non si era mai sentita tanto potente e fragile nello stesso
momento.
Finalmente il
pianto di un bambino ruppe la tensione che si era creata nella stanza.
Miriam sospirò.
Era proprio la voce del suo bambino.
L’ostetrica lo sollevò.
Miriam allungò
subito le braccia per prendere il figlio. Quell’ostetrica non le ispirava
fiducia. Sua madre Gertrude si era ostinata affinché fosse lei ad assistere al
parto, aveva insistito, dicendo che era la migliore ostetrica della zona, la
più cercata. Miriam avrebbe preferito la loro vicina. Quella donna le suscitava
una strana sensazione, come un brutto presentimento.
Scacciò quei
pensieri. Desiderava solo abbracciare il suo bambino; il dolore apparteneva al
passato e si sentiva piena di ottimismo per il futuro.
«È un maschio!»,
esultò l’ostetrica, guardando Gertrude.
La madre di
Miriam non si scompose. Aveva assistito al parto della figlia in un angolo
della stanza, in silenzio, senza manifestare alcuna emotività.
«Datemi il
bambino!». Miriam si sporse per prenderlo.
«Ora dovete
riposare», rispose l’ostetrica con voce incerta.
Miriam la
fulminò con lo sguardo.
«Datemi mio
figlio!», ordinò.
L’ostetrica si
avvicinò lentamente al letto e guardò Gertrude, che annuì.
«Ecco...». Glielo
porse senza mai staccare gli occhi dalla donna all’angolo. «Ma solo un momento,
devo andare a lavarlo».
Miriam prese suo
figlio fra le braccia e lo appoggiò al petto.
Il piccolo smise
subito di piangere.
«Ciao, amore mio...».
Il bambino la
fissò intensamente per un istante, mosse le labbra e chiuse gli occhi. Era sereno:
appoggiato al petto della madre poteva sentire il battito rassicurante del suo
cuore ed era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Miriam guardò le sue paffute guance rosee e i capelli
dorati. Gli occhi erano azzurri, proprio come quelli del padre.
Il ricordo di Edoardo
si fece più forte che mai: avrebbe tanto voluto averlo vicino, per condividere
con lui ciò che provava.
Si scosse, riconcentrandosi
sul bambino: non doveva pensare al passato, Edoardo non faceva più parte della
sua vita.
All’improvviso
una fitta terribile e inaspettata la fece contorcere. Miriam urlò.
Il bambino percepì
la paura della madre e scoppiò in un pianto disperato.
La giovane donna
era combattuta tra il dolore, che le imponeva di pensare a se stessa, e il
desiderio di non separarsi dal bambino. In pochi istanti il male diventò insopportabile
e Miriam fu costretta a porgere il figlio all’ostetrica.
«Che hai,
Miriam?». Sua madre si avvicinò al letto.
«Ho dolore...»,
rispose lei con occhi sbarrati. «Ho lo stesso dolore di prima!».
Si toccò il
ventre. Era ancora duro e teso.
«È solo
suggestione...», minimizzò l’ostetrica. «Dovete soltanto riposare», aggiunse
con freddezza. Avvolse il neonato in una coperta e, insieme a Gertrude, se ne
andò velocemente nell’altra stanza. Il bambino piangeva, inconsolabile.
Miriam, rimasta
sola, ricominciò a sudare.
Si toccò la
pancia e percepì un movimento.
Una nuova
consapevolezza attraversò la sua mente.
«C’è un altro
bambino!», intuì sbalordita. «Madre!». Voleva chiamare anche l’ostetrica, ma si
rese conto che non conosceva il suo nome.
Dall’altra
stanza non ci fu nessuna risposta. Le grida del suo bambino diventavano sempre
più distanti.
Era notte: perché
sua madre e l’ostetrica si erano allontanate con un bimbo appena nato?
Miriam sospirò:
doveva tenere il panico il più lontano possibile dalla sua mente. Si toccò il
ventre e, pensando alla vita che era dentro di lei, si fece avvolgere da tutto
il coraggio che aveva nel cuore. Con fiducia, si preparò ad affrontare quella
difficile situazione da sola.
1
Ariel
28.08.1805
Il sole era alto
nel cielo e faceva brillare i vasti campi, attraversati da un lungo fiume che
li irrigava.
Il ruscello
scendeva dolcemente per la vallata e continuava il suo percorso attraverso un
bosco che si infittiva gradatamente oltre il villaggio.
Erano le terre
di Sebenfar, antica dimora dei conti Amadòr, il cui castello si ergeva sulla
collina oltre il villaggio.
Miriam si spostò
un ciuffo ribelle dal viso e guardò il ruscello.
Doveva lavare
tutti i panni e rientrare a casa per l’ora di pranzo, ma i suoi pensieri erano
altrove.
Si sistemò il fazzoletto sulla testa, dal quale fuoriusciva,
indomita, una chioma rosso fuoco che contrastava con la carnagione bianca e
delicata. Il viso era attraversato da tante lentiggini che le conferivano un’aria
sbarazzina. Due occhi verdi spiccavano in tutto quel candore.
«Miriam!». Una
voce lontana la sorprese alle spalle.
Un giovane dai
capelli biondo scuro e la barba dorata stava correndo verso di lei.
Miriam si destò
dai suoi pensieri e gli andò incontro.
«Mattia! Che cosa
è successo?».
«Devo
parlarti...», affermò lui senza staccare gli occhi dai suoi. «Ma devi
promettere di stare calma...».
«Mattia, come
faccio a conoscere la reazione che avrò se non mi dici di cosa si tratta?».
Miriam scosse il capo, ma non abbassò lo sguardo.
Lui sospirò. Da
sua sorella una risposta del genere doveva aspettarsela: difficilmente
accettava consigli, aveva un modo tutto suo di vedere la realtà.
«È morta la contessa Elisabetta. Il
conte Edoardo sta per tornare... con la sua famiglia...».
«Con la sua famiglia?». Miriam si
morse il labbro inferiore. Poi fece un profondo respiro. «Non mi importa più
nulla di quell’uomo», affermò. Si girò, tornando a rapidi passi verso il
ruscello.
Mattia la seguì.
«La mamma è
preoccupata! Teme che tu gli dica che hai avuto una figlia da lui!».
Miriam si voltò
di scatto.
«Due figli,
Mattia, due figli!», precisò alzando il tono di voce.
«Sorella mia...».
Mattia le afferrò un braccio. «So quanto hai sofferto per la perdita del
bambino... ma hai Ariel!».
«Era sano... io
l’ho visto!». Gli occhi di Miriam si riempirono di lacrime.
Mattia la abbracciò.
La ragazza batté
il pugno sul suo petto.
«Quell’ostetrica,
perché la mamma ha voluto un’ostetrica che venisse da fuori? Perché non ha chiamato
Lucy? È sempre stata lei l’ostetrica del villaggio!».
«L’ostetrica che
ti ha assistita era la migliore della zona... nostra madre l’ha fatto per il
tuo bene», rispose Mattia.
«Non la
conoscevamo... non ha nemmeno detto il suo nome... non si è più fatta vedere. È
sparita insieme a mio figlio! Nonostante tutti i miei sforzi per ritrovarla,
nulla! È svanita!».
Mattia la guardò
dritto negli occhi.
«Nostra madre ha
visto il bambino... era morto, Miriam!». Glielo aveva detto tante volte, ma non
l’aveva mai convinta.
«Perché sono
uscite non appena ho partorito? E, se era morto, perché non mi hanno fatto
vedere il suo corpicino?», insistette lei.
«Miriam, la
mamma te l’avrà detto un milione di volte: il bambino stava male, l’hanno
portato fuori per fargli prendere aria. La mamma non voleva sconvolgerti mostrandoti
il suo corpo senza vita... per questo l’ha abbandonato nel ruscello. Non c’era
più niente da fare... non è colpa di nessuno...».
«Avevo il
diritto di piangere sul corpo di mio figlio. Non è facendolo sparire che si
allevia il dolore del mio cuore! Come ha potuto la mamma farmi questo?».
Mattia non
staccò gli occhi dai suoi.
«Miriam, non fai
altro che rinfacciarglielo tutti i giorni; ormai nostra madre è anziana, per
quanto potrà ancora sopportare le tue accuse?».
Lei sospirò.
«Mi dispiace, è
che proprio non riesco a darmi pace...».
Il fratello la abbracciò
nuovamente.
«Ce la farai,
Miriam, col tempo ce la farai...».
La ragazza
scosse il capo.
«Sono trascorsi
nove anni! Se in nove anni non sono riuscita a elaborare il lutto, forse
significa che c’è dell’altro... forse non tutto è come sembra!». Una luce di
speranza attraversò i suoi occhi verdi.
Mattia la guardò,
preoccupato.
«Se continui
così, finirai per impazzire!».
Miriam non lo ascoltò.
«Quell’ostetrica
aveva del marcio e la mamma nasconde qualcosa: non può essere andata come dice
lei! Non posso rinnegare la mia sensazione! Il mio bambino è vivo!». Si mise
una mano sul petto. «Io lo sento!».
«Che cosa pensi
di fare con il conte Edoardo?», domandò Mattia cambiando argomento. Quando sua
sorella partiva con le sue considerazioni, non c’era modo di ragionare.
Miriam alzò le
spalle.
«Non gli ho
detto che ero incinta dieci anni fa, perché ora dovrei dirgli che ha due figli,
di cui uno è scomparso?».
«Temo possa
scoprire che Ariel è sua figlia... se lo sapesse, potrebbe volerla con sé...».
«Non gli
permetterò di portarmi via Ariel!», esclamò Miriam. «Qualsiasi pettegolezzo
dica la gente, non ci sono prove che Ariel è sua figlia...». Si asciugò gli
occhi con il braccio. «E poi... a quale nobile con un erede maschio
importerebbe di avere una figlia illegittima?».
Mattia scosse il
capo.
«Il conte
Edoardo è una persona buona e con princìpi morali giusti».
«Forse lo
era...».
In quel momento
una vocetta squillante riecheggiò nella pianura.
«Mamma!».
Una bambina correva veloce verso il ruscello, i lunghi riccioli
rossi si intonavano con il fazzoletto giallo che aveva in testa.
Miriam si lasciò
andare a un sorriso incontrollato e le corse incontro.
Non appena
furono abbastanza vicine la sollevò, ma, stremata dalla corsa, perse l’equilibrio
e caddero entrambe a terra. Cominciarono a ridere rotolandosi sul prato e
facendosi il solletico. Sfinite, si abbandonarono poi sull’erba.
«Questo sole è
insopportabile!», affermò Miriam coprendosi il viso con la mano.
«Ci vorrebbe un
bel bagno!», propose Ariel.
Miriam osservò
il suo sguardo furbetto.
«Chi arriva
ultima lava i panni!», dichiarò scattando in piedi.
La bambina, che
conosceva bene la madre, era già partita prima che Miriam parlasse.
Ariel fu la
prima a buttarsi in acqua, seguìta a ruota da Miriam.
Mattia le guardò,
divertito.
«Non si capisce
chi è la figlia e chi la madre!», urlò loro.
«Perché io e la
mamma siamo uguali, zio!», rispose Ariel schizzando Miriam.
«Ehi! Non
vale!». Miriam le spruzzò a sua volta dell’acqua.
Mattia scosse il
capo.
«Ora tornerete
al villaggio di nuovo bagnate e tutti vi guarderanno male...».
«Diremo che
siamo inciampate nel secchio dei panni e che siamo cadute in acqua!», suggerì
Ariel.
«Di nuovo?!»,
rise Mattia.
Ariel, nel mezzo
del fiume e tutta gocciolante, si fermò un istante a riflettere.
«Be’, non è
colpa nostra se il secchio dei panni continua a farci gli sgambetti!». Alzò le
spalle, mostrando una delle sue faccette più buffe.
Miriam rise.
L’attenzione di
Mattia si focalizzò sulla bacinella colma di indumenti sporchi.
«Non dovevi
lavare i panni, piuttosto?», chiese incrociando le braccia.
«Abbiamo lavato i
nostri vestiti! Vedi?», esclamò Miriam uscendo dall’acqua.
«Certo!»,
confermò Ariel. «È una nuova idea di lavaggio, così non devi neanche stenderli:
ti si asciugano direttamente sulla pelle!», affermò ponendosi in direzione del
sole.
Mattia alzò gli
occhi al cielo. Quando quelle due si mettevano insieme, era finita. Scosse
nuovamente il capo e sollevò le braccia in segno di resa.
«Me ne vado...»,
dichiarò, «...con voi due non si può ragionare...».
Miriam e Ariel
si scambiarono uno sguardo d’intesa e sorrisero.
Tornando al
villaggio, Miriam ripensò a Edoardo.
Lo aveva amato molto
e il suo sentimento era stato ricambiato.
L’ultima sera
che lo aveva visto, era andata a cercarlo proprio per svelargli che era
incinta. Era convinta che il loro amore avrebbe superato qualsiasi ostacolo, ma
si sbagliava.
Proprio in quell’occasione
Edoardo le aveva detto che il suo amore per lei non era più forte delle
convenzioni sociali e che avrebbe sposato sua cugina, la contessa Ludovica Amadòr,
come voleva suo padre, il conte Ambrosio Amadòr.
Miriam ricordò
il dolore di quel momento: il mondo le era crollato addosso, soffocandola sotto
una valanga di problemi e preoccupazioni.
Come poteva dire
a un uomo che non la amava che aspettava un figlio da lui? Sarebbe stato solo
un subdolo tentativo per tenerlo accanto a sé.
Per Miriam non c’erano
condizioni all’amore: aveva lasciato Edoardo libero di scegliere un’altra donna
e aveva deciso di crescere il loro figlio da sola. Eppure, spesso, ripensando a
quella sera, si chiedeva cosa sarebbe accaduto se avesse rivelato a Edoardo che
stava per diventare padre.
Miriam scosse la
testa. Non voleva un uomo che stesse con lei per senso del dovere: aveva fatto
bene a non svelargli la verità, prima o poi anche il suo cuore lo avrebbe
capito.
«Mamma, a che
pensi?», chiese Ariel.
Miriam si
sollevò dai suoi pensieri.
«A nulla, piccolina!»,
rispose guardando in lontananza.
«Non mi imbrogli...».
Lei sospirò. A
volte l’intuito e l’intelligenza di sua figlia erano davvero irritanti.
«Non so cosa
raccontare alla nonna giacché siamo tutte bagnate...», azzardò.
Ariel le afferrò
la mano, trattenendola.
«Preferisco che
tu mi dica la verità!», ribatté.
Miriam sospirò, cercando
di non perdere la pazienza.
«La verità è che
non mi sento di parlarne con te, adesso».
«Già... ma un
giorno dovrai pur raccontarmi di mio padre... io sto aspettando da tanto!», la incalzò
Ariel.
Lei si
spazientì.
«Non ti
arrenderai mai, vero?», commentò aspramente.
«Tu ti
arrenderai a credere che mio fratello sia morto?», ribatté la bambina con la stessa
asprezza.
Miriam rimase
impietrita.
«Ariel, non è la
stessa cosa...», cercò di giustificarsi.
«Sì che lo è! E
tu dovresti sapere quanto sia mortificante non avere delle risposte!», sbottò
Ariel. Poi scappò via senza voltarsi indietro.
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